Fa uno strano effetto pensare che, negli anni bui dell'
ultimo conflitto mondiale, «l' intera umanità fosse affidata alle mani di
cinque capi di Stato più o meno bipolari» ovvero più o meno affetti da una
delle tante «variazioni sul tema» della sindrome maniaco-depressiva: Churchill,
Mussolini, Hitler, Stalin e Franklin Delano Roosevelt («grande ipertimico, come
suo zio Theodore»). E che fossero maniaco-depressivi (oltre all' imperatore
Adriano, Napoleone e Robespierre) poeti come Byron, Shelley e Whitman;
scrittori come Balzac, Hemingway e Gogol; musicisti come Rossini, Mahler e
Ciaikovskij; pittori come Michelangelo, Caravaggio e Van Gogh. D' altra parte,
come non parlare quantomeno di melanconia davanti all' Urlo di Munch, alle Tre
sonate per oboe e pianoforte di Schumann, al Grido di Ingmar Bergman e persino
di fronte a certi personaggi dei Frustrati di Claire Bretécher? Nella sua
postfazione al nuovo romanzo di Alessandra Arachi (Lunatica) lo psichiatra
Athanasios Koukopoulos si serve però di queste celebrities per dimostrare
quanto sia «comune» il disturbo bipolare (magari nascosto dietro pseudonimi più
o meno poetici, da «male di vivere» allo spleen alla tristeza di Vinicius de
Moraes): almeno il 20 per cento della popolazione - spiega Koukopoulos - ha
sofferto una volta nella vita di depressione, le persone affette da gravi manie
sono stimate intorno all' 1,5 per cento, il 35 per cento delle persone in
carcere sono bipolari. «La realtà è che l' uomo e la natura stessa sono
bipolari, il giorno e la notte, l' estate e l' inverno, l' infanzia e la
vecchiaia - scrive - trascorrono fra infinite variazioni dell' umore, fra
grandi gioie ed esaltazioni, grandi dolori e abbattimenti. Ma solo alcune
persone predisposte soffrono di depressione e di mania». Quella raccontata
dalla Arachi (giornalista del Corriere già autrice di un bestseller, Briciole,
in cui aveva narrato la propria esperienza di malata di anoressia) è ancora una
volta una storia molto quotidiana, potremmo dire quasi normale, che solo per
caso sembra non concludersi con il suicidio («la grande tragedia del disturbo
bipolare»). Visto che, per buona parte del racconto, la protagonista non fa che
cercare la via migliore per morire (corda, veleno per topi, monossido di
carbonio). E visto che, in una «mente bipolare», «la sofferenza del vivere e la
perdita di ogni speranza rendono l' idea della morte una prospettiva di
liberazione». Praticamente, l' unica. Lunatica (un titolo che è un dovuto
omaggio al satellite che per secoli è stato considerato causa scatenante delle
crisi di follia nonché di epilessia e licantropia) non è la storia di una vita
soltanto, ma di cento, mille vite costantemente in bilico tra euforia e apatia,
tra gioia e disperazione. Vite che cominciano a materializzarsi quando il
cervello «fa clic» (all' apparenza senza nemmeno un motivo apparente) e «all'
improvviso il tuo vicino di casa si trasforma in una spia del Kgb soltanto
perché ha preso in casa una domestica ucraina». Mentre tu diventi capace di
bere soltanto succhi di frutta per sette mesi, di viaggiare in auto per
dodicimila chilometri in un mese (il diametro della Terra all' Equatore), di
entrare in un negozio per comprare un nastro per i capelli e di uscirne avendo
speso «un milione di lire in cose indispensabili», di riempire block-notes e
interi quaderni con le tue follie e i tuoi deliri. Qualche tempo fa un'
incredibile mostra al Grand Palais aveva celebrato gli infiniti modi con cui è
stata rappresentata questa malattia misteriosa: da Dürer a La Tour, da Goya a De
Chirico, da Picasso a Ron Mueck. Una «malattia sacra» di cui Emil Kraepelin,
nel 1899, aveva per primo evidenziato la doppiezza, inglobando nell' unica
definizione di «sindrome maniaco-depressiva» quella «mania» e quella
«melancholia» che per secoli erano state considerate espressioni di due
patologie differenti. Ma al di la di tutte le definizioni scientifiche
possibili, quello che colpisce nella storia raccontata da Alessandra Arachi è
che in fondo basti un «clic» per sprofondare verso il nulla e che basti un
altro «clic» perché tutto torni a funzionare o quantomeno a «girare»: una
pasticca bianca, il sorriso di una bambina, uno strano incontro su una terrazza
affacciata sui Fori imperiali, una delle tante canzoni che costellano il
racconto (a cominciare da Sally di Vasco Rossi). La morale? Forse non tanto
farci sapere quanto possa essere «terapeutico» il litio, quanto (piuttosto)
aiutarci a fare in modo che «nessuno debba mai più provare neanche un briciolo
di vergogna perché il suo cervello un giorno si è messo a correre all'
impazzata». D' altra parte chi avrebbe mai avuto il coraggio di rimproverare a
Lincoln, a Rossini o a Hölderlin di essere «menti bipolari»? Il libro:
Alessandra Arachi, «Lunatica. Storia di una mente bipolare», postfazione di Athanasios
Koukopoulos, Rizzoli, pagine 140, 15, in libreria da mercoledì prossimo
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