sabato 10 agosto 2013

IL MONDO SALVATO DAI "BIPOLARI"

Fa uno strano effetto pensare che, negli anni bui dell' ultimo conflitto mondiale, «l' intera umanità fosse affidata alle mani di cinque capi di Stato più o meno bipolari» ovvero più o meno affetti da una delle tante «variazioni sul tema» della sindrome maniaco-depressiva: Churchill, Mussolini, Hitler, Stalin e Franklin Delano Roosevelt («grande ipertimico, come suo zio Theodore»). E che fossero maniaco-depressivi (oltre all' imperatore Adriano, Napoleone e Robespierre) poeti come Byron, Shelley e Whitman; scrittori come Balzac, Hemingway e Gogol; musicisti come Rossini, Mahler e Ciaikovskij; pittori come Michelangelo, Caravaggio e Van Gogh. D' altra parte, come non parlare quantomeno di melanconia davanti all' Urlo di Munch, alle Tre sonate per oboe e pianoforte di Schumann, al Grido di Ingmar Bergman e persino di fronte a certi personaggi dei Frustrati di Claire Bretécher? Nella sua postfazione al nuovo romanzo di Alessandra Arachi (Lunatica) lo psichiatra Athanasios Koukopoulos si serve però di queste celebrities per dimostrare quanto sia «comune» il disturbo bipolare (magari nascosto dietro pseudonimi più o meno poetici, da «male di vivere» allo spleen alla tristeza di Vinicius de Moraes): almeno il 20 per cento della popolazione - spiega Koukopoulos - ha sofferto una volta nella vita di depressione, le persone affette da gravi manie sono stimate intorno all' 1,5 per cento, il 35 per cento delle persone in carcere sono bipolari. «La realtà è che l' uomo e la natura stessa sono bipolari, il giorno e la notte, l' estate e l' inverno, l' infanzia e la vecchiaia - scrive - trascorrono fra infinite variazioni dell' umore, fra grandi gioie ed esaltazioni, grandi dolori e abbattimenti. Ma solo alcune persone predisposte soffrono di depressione e di mania». Quella raccontata dalla Arachi (giornalista del Corriere già autrice di un bestseller, Briciole, in cui aveva narrato la propria esperienza di malata di anoressia) è ancora una volta una storia molto quotidiana, potremmo dire quasi normale, che solo per caso sembra non concludersi con il suicidio («la grande tragedia del disturbo bipolare»). Visto che, per buona parte del racconto, la protagonista non fa che cercare la via migliore per morire (corda, veleno per topi, monossido di carbonio). E visto che, in una «mente bipolare», «la sofferenza del vivere e la perdita di ogni speranza rendono l' idea della morte una prospettiva di liberazione». Praticamente, l' unica. Lunatica (un titolo che è un dovuto omaggio al satellite che per secoli è stato considerato causa scatenante delle crisi di follia nonché di epilessia e licantropia) non è la storia di una vita soltanto, ma di cento, mille vite costantemente in bilico tra euforia e apatia, tra gioia e disperazione. Vite che cominciano a materializzarsi quando il cervello «fa clic» (all' apparenza senza nemmeno un motivo apparente) e «all' improvviso il tuo vicino di casa si trasforma in una spia del Kgb soltanto perché ha preso in casa una domestica ucraina». Mentre tu diventi capace di bere soltanto succhi di frutta per sette mesi, di viaggiare in auto per dodicimila chilometri in un mese (il diametro della Terra all' Equatore), di entrare in un negozio per comprare un nastro per i capelli e di uscirne avendo speso «un milione di lire in cose indispensabili», di riempire block-notes e interi quaderni con le tue follie e i tuoi deliri. Qualche tempo fa un' incredibile mostra al Grand Palais aveva celebrato gli infiniti modi con cui è stata rappresentata questa malattia misteriosa: da Dürer a La Tour, da Goya a De Chirico, da Picasso a Ron Mueck. Una «malattia sacra» di cui Emil Kraepelin, nel 1899, aveva per primo evidenziato la doppiezza, inglobando nell' unica definizione di «sindrome maniaco-depressiva» quella «mania» e quella «melancholia» che per secoli erano state considerate espressioni di due patologie differenti. Ma al di la di tutte le definizioni scientifiche possibili, quello che colpisce nella storia raccontata da Alessandra Arachi è che in fondo basti un «clic» per sprofondare verso il nulla e che basti un altro «clic» perché tutto torni a funzionare o quantomeno a «girare»: una pasticca bianca, il sorriso di una bambina, uno strano incontro su una terrazza affacciata sui Fori imperiali, una delle tante canzoni che costellano il racconto (a cominciare da Sally di Vasco Rossi). La morale? Forse non tanto farci sapere quanto possa essere «terapeutico» il litio, quanto (piuttosto) aiutarci a fare in modo che «nessuno debba mai più provare neanche un briciolo di vergogna perché il suo cervello un giorno si è messo a correre all' impazzata». D' altra parte chi avrebbe mai avuto il coraggio di rimproverare a Lincoln, a Rossini o a Hölderlin di essere «menti bipolari»? Il libro: Alessandra Arachi, «Lunatica. Storia di una mente bipolare», postfazione di Athanasios Koukopoulos, Rizzoli, pagine 140, 15, in libreria da mercoledì prossimo


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